L’usucapione di beni immobili: il requisito del possesso
L’usucapione, disciplinata dagli artt.1158-1167 Codice Civile è, come sostenuto dalla prevalente dottrina, “il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora, di altri requisiti, si produce l’acquisto della proprietà o dei diritti reali di godimento” (Torrente). Le ragioni che giustificano l’istituto dell’usucapione nel nostro diritto sono, da una parte, l’esigenza di rendere certa e stabile una situazione giuridica attiva quale la proprietà, dall’altra quella di favorire, rispetto al proprietario inerte, colui che si occupa di un bene e lo rende produttivo nei confronti della comunità.
L’inerzia del titolare è quindi un presupposto necessario per l’usucapione del possessore, tanto è vero che l’esercizio effettivo del diritto di proprietà del titolare è causa interruttiva di una eventuale usucapione in corso. A tale riguardo tuttavia, si deve sottolineare come, ai fini della interruzione, non sia sufficiente una generica diffida non presentata come domanda giudiziale, come ad esempio una raccomandata con la quale si chiedesse la restituzione del terreno, rendendosi invece necessario l’instaurarsi di un vero e proprio contenzioso (conferma Cass. 86/2929 e Cass 88/4837).
Gli elementi fondamentali per l’usucapione ordinaria di immobili consistono nel possesso ininterrotto e continuato e nel decorso del tempo , pari o superiore ai venti anni.
Uno degli elementi cardine per l’usucapione è quindi il possesso che deve avere alcuni requisiti ed in particolare: in primis deve essere pacifico e pubblicovale a dire che l’acquisto non deve essere stato violento o clandestino (Art.1163 C.C.); si ha violenza quando il possesso è stato acquistato contro la volontà espressa o presunta del precedente possessore e mediante l’uso di forza fisica. Si ha invece clandestinità quando l’acquisto avviene con artifizi idonei a renderlo occulto allo spogliato od in condizioni tali che questi non possa accorgersene subito perché, ad esempio, assente. La violenza cessa, ai sensi dell’Art.1163 c.c., quando cessa l’atteggiamento intimidatorio o minaccioso; la clandestinità cessa quando lo spogliato viene a conoscenza del subito spoglio. Secondo parte della dottrina (Montel-Sertorio, voce usucapione, NNDI, 1975 pag.301) si considera occulto l’acquisto del possesso che, sebbene effettuato pubblicamente, sia avvenuto all’insaputa del preteso danneggiato (conforme Cassazione Civile 8 Aprile 1975 n.1276). Non occorre, per altro, che vi sia una attività dolosa o fraudolenta, essendo sufficiente che l’atto miri obiettivamente a celare l’impossessamento, come sostenuto da De Martino (Del possesso, COM. S.B., 1984).
Dello stesso avviso anche altro autore, Bianca (Diritto Civile, vol. 6, 806) secondo cui ” la clandestinità del possesso consiste nel suo occultamento rispetto al proprietario . Essa è riscontrabile nei casi di nascondimento del bene o di sue utilizzazioni attuate in modo da non essere percepite dal proprietario . La clandestinità del possesso preclude l’usucapione in quanto l’utilizzazione nascosta del bene altrui non è socialmente apprezzabile e non rende più meritevole di tutela il possessore rispetto al proprietario. .”
Come sostenuto anche da Cassazione Civile, 4427/1986 “Non giova poi per l’usucapione, se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata , il possesso acquistato in modo violento o clandestino (Art.1163 c.c . ). Si richiede perciò che il possesso sia attuato in modo da palesare a tutti, anche a coloro cui è stato sottratto, l’animo di voler assoggettare la cosa al proprio volere ; inoltre, che non sia stato acquistato nè mantenuto con violenza. In tali senso sono stati mantenuti nel vigente codice civile quei requisiti tradizionali che caratterizzavano il possesso legittimo, condizione fondamentale dell’usucapione o prescrizione acquisitiva nel codice civile del 1865 (Art.2106), e che comprendevano per il possesso secondo l’Art.686 anche le qualità di “pacifico” e “pubblico” in riferimento all’assenza di violenza e di clandestinità (nec vi, nec clam) tanto nell’acquisto quanto successivamente (Art. 689).”
Secondariamente si richiede la continuità e non interruzione della occupazione, vale a dire che il bene di cui si tratta non deve essere abbandonato ed altresì che non vi deve essere stata interruzione ad opera di terzi, vuoi con l’esercizio del loro diritto in contrasto con il possessore (ad esempio una azione giudiziale di rivendica), vuoi privando effettivamente il possessore del godimento del bene (interruzione di fatto); nessuna rilevanza hanno invece gli atti di disposizione del bene intervenuti tra il proprietario ed i terzi che non abbiano avuto risvolti nei confronti del possessore.
In altri termini, devesi ribadire, con il conforto anche della prevalente dottrina, che nessuna incidenza sulla situazione di fatto utile ad usucapionem , nei suoi due aspetti del corpus e dell’animus , possono avere atti di disposizione del diritto di proprietà da parte del titolare di esso in favore di terzi, atti che non integrano alcuna delle fattispecie di cui agli Artt.1167 e 2943 C.C. e che non solo non sono diretti nei confronti del possessore, elemento imprescindibile per una loro efficacia interruttiva come sopra evidenziato, ma possono anche non essere neppure dallo stesso conosciuti, onde rispetto a costui rappresentano, comunque, fatti compiuti tra soggetti terzi, ininfluenti quanto alla pacifica prosecuzione dell’esercizio del potere di fatto sul bene, nè materialmente impedito nè idoneamente contestato.
La giurisprudenza di legittimità, giusto quanto sopra già accennato, ha ripetutamente sottolineato come nei contratti ad effetti reali l’incontro delle volontà dei contraenti comporti l’automatico trasferimento dello ius possidendi , ossia del potere astratto d’esercitare la signoria sul bene, ma non anche o non necessariamente dello ius possessionis , ossia del concreto esercizio del potere stesso, ove questo non sia stato materialmente trasmesso attraverso una consegna effettiva o, quanto meno, ficta (così Cassazione civile, SEZIONE II, 14 novembre 2000, n. 14733, confermata anche da Cass. 3.7.98 n. 6489, 27.10.94 n. 8874, 11.10.89 n. 4057, 25.5.84 n. 3226, 12.3.84 n. 1693). In altre parole la stipula dei detti contratti, quando non accompagnata o seguita dalla materiale consegna del bene all’acquirente, non può produrre alcun effetto nei confronti del possessore, nel caso in cui si tratti di soggetto diverso dal proprietario alienante.
Per quanto attiene al requisito della continuità, esso non richiede una prova specifica, essendo compreso nella presunzione legale di possesso intermedio (Art.1142 c.c.): chi possedeva all’inizio e possiede ancora oggi, si deve supporre che abbia posseduto anche nel tempo intermedio.
Da ultimo, va sottolineato come non sia richiesto il requisito della buona fede per la usucapione ordinaria; come sottolineato, tra le altre, da Cassazione Civile, Sez.II, 15 Luglio 2002 n.10230 :
” L’animus possidendi, necessario all’acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione . Di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo , .., non esclude che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione . “
La buona fede, ovverosia l’ignoranza di ledere l’altrui diritto, che deve esistere al momento dell’acquisto del possesso, ha rilievo solo ai fini della usucapione abbreviata che, per quanto attiene ai fondi rustici, si compie in cinque anni dalla trascrizione (ex art.1159 bis, comma 2 C.C.) di un titolo valido e astrattamente idoneo a trasferire il diritto , ma inefficace in pratica per non essere il dente causa proprietario o titolare del diritto reale (così detto acquistoa non domino ).
Non va dimenticato poi che l’onere della prova nell’usucapione è completamente a carico della parte che intende acquisire il bene: per la sua difficoltà essa è anche detta “diabolica” dal momento che, come già indicato, si fonda sulla capacità della parte attrice di dimostrare il rispetto di tutti gli elementi previsti per legge per l’acquisto della proprietà; la mancata dimostrazione anche di uno solo di essi avrà come risultato il mancato perfezionarsi dell’acquisto.
Per un quadro completo sull’istituto dell’usucapione si rimanda a quanto già pubblicato sulle pagine di questo notiziario.