Il contratto di soccida semplice
La soccida, contratto associativo per l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame, trae la sua origine storica dalla necessità dei pastori sardi di provvedere all’allevamento dei capi ovini forniti dai grossi proprietari terrieri che avevano i capitali da investire nell’acquisto del bestiame, e necessitavano di persone in grado di allevarli.
Tale forma di contratto è stata recepita dal nostro ordinamento attraverso l’art.2170 del Codice Civile il quale definisce la soccida come quell’attività in cui il soccidante (proprietario dei capi) ed il soccidario (allevatore dei capi) si associano per l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame e delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento dello stesso e gli altri prodotti ed utili che ne derivano.
La soccida è quindi, un contratto in cui entrambi i contraenti si assumono i rischi dell’allevamento in proporzione alle quote stabilite.
La soccida semplice , disciplinata dagli artt.2171 e ss. C.C. è caratterizzata dall’apporto di bestiame esclusivamente da parte del soccidante, al quale spetterà anche, a norma dell’art.2173 c.c., la direzione dell’impresa. I l soccidario per contro, dovrà prestare il lavoro occorrente per la custodia e l’allevamento degli animali affidatigli, per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito, utilizzando la diligenza del buon allevatore.
A fronte dell’iniziale conferimento di capi, le parti dovranno provvedere ad una stima degli animali redigendo un verbale in cui vengano riportate la qualità degli stessi, il loro numero, il loro peso e le altre caratteristiche. Tale scrittura è di particolare importanza se si considera che, a l termine del contratto , il soccidante avrà diritto di riprendere dal “nuovo” gregge un numero di animali di qualità pari a quella descritta, e la divisione degli utili sarà effettuata solo sui capi rimanenti. Dispone infatti l’art.2181 c.c.: ” Al termine del contratto le parti procedono a nuova stima del bestiame. Il soccidante preleva, d’accordo con il soccidario, un complesso di capi che, avuto riguardo al numero, alla razza, al sesso, al peso, alla qualità e all’età, sia corrispondente alla consistenza del bestiame apportato all’inizio della soccida. Il di più si divide a norma dell’articolo 2178. Se non vi sono capi sufficienti ad eguagliare la stima iniziale, il soccidante prende quelli che rimangono”.
Per rimanere un contratto nell’ambito fiscale dell’agricoltura, la soccida deve prevedere una determinazione della quota di riparto che tenga conto non solo della quantità di prodotto ottenuto, ma anche della qualità dello stesso, dei tempi e delle modalità dell’allevamento. In base a queste variabili alla fine del ciclo di allevamento il soccidario ed il soccidante divideranno gli utili dell’accrescimento degli animali facendo riferimento al prezzo di mercato esistente in quel momento.
Un contratto di soccida che prevedesse fin dall’inizio del ciclo, un prezzo al chilo della carne non ripartirebbe equamente i rischi dell’operazione fra entrambi i contraenti, e sarebbe assimilabile ad un contratto di prestazione di allevamento per conto terzi.
Egualmente un contratto che prevedesse dei compensi prestabiliti, non potrebbe essere definito “agricolo”, ma diverrebbe un contratto di prestazione di servizi. E’ il caso di alcuni contratti che più o meno palesemente prevedono una paga mensile o un compenso calcolato in base al numero dei posti presenti in allevamento.
Un contratto di questo genere non è illegale, ma deve comunque essere riconosciuto come contratto di prestazione di servizi, assoggettando di conseguenza i compensi ricevuti a tassazione, detratte naturalmente le spese sostenute, e pagare le imposte che scaturiscono dalla dichiarazione dei redditi. Mascherare questi ultimi contratti come contratti di soccida agricola comporta solo il pagamento di sanzioni molto pesanti, sia in campo IVA sia in termini di imposte dirette, al momento di un probabile controllo da parte della Guardia di Finanza.
(A.D. 2004)