Esproprio di terreno agricolo per pubblica utilità.
E’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42, terzo comma, Cost., l’art. 5-bis, comma 4, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli artt. 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. La censurata normativa prevede che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria sia commisurata ad un valore – quello agricolo medio della coltura in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali – che prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo ed ignora ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il ragionevole legame con il valore di mercato del bene ablato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il serio ristoro richiesto dalla consolidata giurisprudenza costituzionale. Fermo restando che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato e che non sempre é garantita dalla Cedu una riparazione integrale, l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Corte cost., 10-06-2011, n. 181
In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, al proprietario coltivatore diretto del fondo espropriato spetta un’indennità aggiuntiva, ex art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, autonoma rispetto all’indennità di espropriazione, caratterizzata da una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola. Tale indennità aggiuntiva deve essere commisurata al valore agricolo medio tabellare (VAM) ai sensi dell’art. 17, secondo, terzo e quarto comma, della legge n. 865 del 1971 (applicabile “ratione temporis”), trattandosi di disposizioni che – ad eccezione beneficio della triplicazione previsto dal primo comma, da ritenersi abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo derivante dalla sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 2011, n. 181 – non sono state coinvolte dalla menzionata pronuncia della Consulta, essendo dotate di funzione riparatrice autonoma rispetto all’indennità di esproprio e poste a tutela di diritti costituzionali, quale quello al lavoro, diversi da quello di proprietà. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 25/02/2011) Cass. civ. Sez. I, 24-04-2014, n. 9269
Liquidazione dell’indennità – Determinazione (stima) – In genere – Espropriazione per pubblica utilità – Coltivatore diretto – Indennità aggiuntiva ex art. 17 della legge n. 865 del 1971 – Criterio di liquidazione – Effetti della sentenza n. 181 del 2011 della corte costituzionale