Esercizio della prelazione e rivendita del fondo
Molte volte si è scritto sul tema della prelazione agraria; l’argomento che si vuole affrontare con questo articolo riguarda l’acquisto di un terreno agricolo e la sua rivendita. Si ponga il caso di una persona intenzionata ad acquistare un terreno agricolo per poi rivenderlo a fini speculativi:
1) Se il egli non fosse coltivatore diretto, o pur essendolo effettuasse un acquisto di “diritto comune” ovverosia non assistito da cause di prelazione, dopo aver acquistato il terreno, potrebbe rivenderlo a chiunque, senza limitazioni.
2) Se invece egli fosse coltivatore diretto e acquistasse il fondo valendosi di una causa di prelazione (ad esempio perché confinante), allora si dovrebbe considerare che tale acquisto, preordinato alla successiva vendita del terreno, porterebbe ad alcuni problemi.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (sent. 1982/4709, 1983/3329, 1983/7414, 1985/2724, 1988/4923, 1991/31, 1992/6682, 1994/9402) nel caso di esercizio della prelazione, seguito da rivendita del fondo, entrambi i negozi sarebbero nulli per frode alla legge, in quanto costituenti anelli di una catena fraudolenta posta in essere dai contraenti. Come sostenuto in dottrina da Panzani (“Alcune questioni in tema di prelazione di fondi agricoli”) ed in giurisprudenza, da ultimo da C. Cass. 10 Nov. 1994 n.9402: “Il dato della coltivazione del fondo che, quale elemento costitutivo del diritto di prelazione agraria deve essere accertato con riferimento all’epoca in cui la prelazione viene esercitata dall’avente diritto, deve sussistere non solo in termini di attualità , ma anche di sua prospettiva futura e va di conseguenza escluso quando attraverso una preordinata combinazione negoziale il diritto di prelazione venga esercitato dall’affittuario coltivatore diretto o dal mezzadro non per continuare l’impresa agricola, ma per potere invece operare la rivendita del fondo ad un terzo non avente diritto , determinandosi in tal caso la nullità sia del contratto di acquisto, sia del successivo atto di rivendita, in quanto posti in essere in frode alla legge. ” L’indagine sulla sussistenza della frode alla legge deve tenere conto, tra l’altro, della vicinanza temporale dei due atti, con riferimento alla data di pagamento del prezzo, nonché della provenienza di quest’ultimo, potendo la frode essere evidenziata dal fatto che la somma dovuta per la prelazione sia stata fornita dal successivo acquirente (C.Cass 28 Mag. 1991, n.6015). L’elemento cardine dell’istituto della prelazione, che obbliga il venditore a preferire nella vendita un acquirente ad un altro, è il favore che l’ordinamento riconosce sia alla famiglia coltivatrice, sia alla creazione di aziende agricole sempre più efficienti e meglio sfruttabili. Da ciò discende che, fra gli elementi cui è subordinata l’esistenza del diritto di prelazione è ricompreso quello della destinazione del fondo all’esercizio della attività agricola dell’acquirente e della propria famiglia, con la conseguenza che, ove tale finalità manchi (perché, ad esempio, l’esercizio della prelazione è stato fatto solo in virtù di una successiva vendita del fondo), il diritto alla prelazione non viene ad esistenza, e così correlativamente difetta in capo al coltivatore il potere di far proprio il bene, profittando, nel termine di legge, della causa di prelazione (C. Cass. 20 Ago. 1984/4658). Da siffatta disciplina per altro non risultano violati i precetti di cui agli art.3, 41 e 42 della nostra Costituzione che riguardano la libertà, l’iniziativa economica e la proprietà, in quanto il coltivatore conserva sempre, in perfetta parità di trattamento con qualsiasi soggetto, la facoltà di effettuare un acquisto di diritto comune senza soffrire, in tal caso, alcuna limitazione di iniziativa economica e di disponibilità dell’immobile; il sacrificio della libertà contrattuale e di iniziativa economica, implicato dal suddetto diritto di prelazione, trova invece giustificazione sul piano della legittimità costituzionale soltanto nella strumentalità di questo a salvaguardare l’interesse generale al consolidamento, nella stessa persona coltivatrice, della impresa agricola con la proprietà del fondo. In altre parole, il coltivatore diretto che abbia diritto alla prelazione potrà acquistare il fondo esercitando la prelazione stessa (ma in tal caso dovrà destinare il fondo alla coltivazione propria e della famiglia) oppure senza esercitare la prelazione e quindi con un acquisto di diritto comune (ed in tal caso potrà anche acquistare il fondo a fini speculativi). Sempre in tema di rivendita, sarebbe invece del tutto legittima, secondo C. Cass. 29 Nov. 1984/6256, una rivendita parziale del fondo acquisito mediante l’esercizio della prelazione: in tale ipotesi infatti, qualora si dimostrasse che la parte di fondo venduta è di entità trascurabile rispetto all’estensione dell’intero, che non vi è alcun intento speculativo (in relazione al tempo trascorso per la rivendita) e che verrà comunque continuata la coltivazione, non si violerebbero in alcun modo i precetti costituzionali alla base dell’istituto della prelazione.