Assicurazione contro i rischi sul lavoro
Il D.P.R. n.1124 del 1965, prevede l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Seguendo alla lettera il dettato della disposizione, sembrerebbero esulare dalla indennizzabilità i danni subiti dal lavoratore nell’esercizio di mansioni che, seppur attinenti al lavoro stesso, non ne fanno parte direttamente.
Questo punto è stato oggetto di alcune recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione, che ha delineato un quadro stabile e ben definito che indica come debbano ricollegarsi al rischio “da lavoro” anche quegli infortuni, subiti dal lavoratore, che normalmente vengono riportati al “rischio improprio”, cioè quello non strettamente attinente alla attività stessa ma ad essa comunque collegato.
La Corte ha ritenuto (tra le altre: sent. 12601 del 22/9/2000; sent. 2117 del 14/2/2001) che debbano necessariamente farsi rientrare nell’ipotesi di “rischio da lavoro” disciplinato dall’art.2 del D.P.R. citato, e quindi nella indennizzabilità, anche quelle situazioni che non siano strettamente lavorative bensì strumentali allo svolgimento della attività lavorativa stessa.
La Suprema Corte ha statuito infatti che fosse perfettamente legittima la richiesta di indennizzo d’un agricoltore che si era infortunato non nel lavoro dei campi, bensì aprendo il cancello di accesso al mercato ortofrutticolo, ove era posto il sito di vendita dei prodotti da lui coltivati. Essendo l’attività di vendita dei prodotti presso il mercato ortofrutticolo, strettamente connessa con la produzione e ad essa strumentale, è stato ritenuto sussistente il nesso di causalità necessario ai fini della ricomprensione di detta attività nell’alveo più generale di quella lavorativa, e quindi risarcibile.
Affinché il danno del lavoratore sia risarcibile tuttavia, non è sufficiente la mera correlazione temporale (infortunio verificatosi durante l’orario di lavoro) o geografica (infortunio verificatosi nell’azienda agricola), essendo invece necessaria una correlazione funzionale. Ciò significa che il danno deve dipendere dal rischio proprio, insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, ovvero dal rischio insito in attività accessorie ma immediatamente e necessariamente connesse, o strumentali, allo svolgimento di quelle mansioni.
Se tali condizioni sussistono, non ha rilievo l’eventuale comportamento colposo dell’infortunato (se l’agricoltore di cui sopra avesse usato maggiore diligenza nell’aprire il cancello, non si sarebbe ferito, ma ciò non ha rilievo ai fini dell’indennizzo del danno), mentre avrebbe sicuramente rilievo l’eventuale comportamento doloso (se si fosse ferito volontariamente col cancello, non avrebbe diritto ad alcun indennizzo).
Tale principio è stato avvalorato anche da altre pronunce della Cassazione, non ultima la Sent. n.8919 del 1997 con la quale la Suprema Corte ha dato ragione ad un operaio che, spostandosi dai locali della sua azienda ad altro luogo per motivi attinenti alla sua attività, si era visto negare l’indennizzo da parte della assicurazione.
(A.D. 2001)